800km sulle zampe: Pierpaolo Faggi e il suo Poldo si raccontano.
di Pierpaolo Faggi
Premessa necessaria nell’aderire alla gentile proposta di Ylenia, riguardo allo scrivere io stesso l’ultimo pezzo sulla nostra camminata verso Sudest (di Poldo e mia, intendo): di cani so poco o nulla. A parte quello che – mi verrebbe da dire esagerando scherzosamente e antropomorficamente – Poldo sembra voler insegnarmi giorno per giorno: “attento, adesso faccio così… bada ben, in questo caso mi comporto così…”
Parto dunque da alcune indicazioni di contesto, che mi vedono più a mio agio. Siamo arrivati, per quest’ultima parte di viaggio, almeno per quest’anno, in quella terra di basse ondulazioni che si stende tra Sava, Drava e Danubio, al confine tra la Slavonia Croata e la Voivodina serba, terra che complessivamente prende il nome di Sermia, dalla città romana Sirmium, oggi Sremska Mitrovica. Città a suo tempo importantissima, rilevante a titoli diversi per numerosi imperatori e, ai fini del nostro viaggio, significativa perché a suo tempo vi venne fatta passare la separazione tra l’Impero Romano d’Occidente e quello d’Oriente. Il posto giusto dunque per chiuderla qui con la camminata di quest’anno e per riprendere da qui la prossima volta la strada verso Istanbul. Una terra peraltro che si porta dentro, laceranti, gli esiti di confini e frammentazioni, da quelli antichi tra Cattolici ed Ortodossi a quelli recentissimi, tra Serbi e Croati: in mezzo agli splendidi terrazzi a vigneto che fiancheggiano il Danubio, la città di Vukovar non riesce ancora, dopo venticinque anni, a dimenticare il dramma dell’assedio e del furore.
Il tempo – siamo ormai nell’ultima decade di settembre – è finalmente cambiato, con un bel vento fresco e asciutto da NE, quel bel rinfresco sarmatico-pannonico che noi conosciamo come Bora quando scende dal Carso su Trieste e che ha spazzato via la cappa di calore umido che ci obbligava a lunghe soste all’ombra nelle ore più calde. Poldo apprezza, con un passo più disinvolto ed energico e senza più la ricerca continua di acqua in cui tuffarsi o, almeno, di erba ombreggiata su cui sdraiarsi per smaltire il calore (pancia e zampe… e le zecche festeggiavano!). Le tappe da 30km in questo modo non costano fatica e possono susseguirsi con regolarità. Inoltre, muscoli più reattivi e occhio più attento, Poldo ha imparato a cacciare lungo la strada: balzo improvviso sulle quattro zampe, imboccata precisa e il topolino va ad integrare la sua colazione. Due o tre ogni mattina, belli croccanti; dopo, mi chiede acqua. Esattamente, perché ormai abbiamo elaborato dei segnali condivisi: lui capisce “destra” e “sinistra”, “su” e “giu”, “piano”, “spetta” e “andemo” riguardo al camminare. Io capisco quando ha sete (mentre camminiamo in linea, arretra, mi si piazza di fianco e mi guarda fisso, fino a sentire la fatidica frase “acqua , Poldo?”) e quando, rarissime volte, di notte deve uscire urgentemente (si tira su dal pavimento, appoggia la testa sul mio cuscino e mi guarda ancora fisso, nei casi più urgenti con piccoli guaiti convincenti, fino a che decido di alzarmi). Abbiamo anche imparato a sincronizzare passi e ritmo e la “linea ammortizzata” non è più perennemente in tensione: insomma, è un altro andare. I cani imparano e gli umani anche.
In definitiva, come spesso avviene, il rodaggio si completa quanto finisce il viaggio.
Viaggio che – 850km in 35 giorni – non ha visto grossi problemi. Tre piccoli acciacchi per Poldo: qualche ora di dissenteria ancora all’inizio (caldo? dieta?), una screpolatura ad un piede, quando ancora tirava come un ossesso sull’asfalto bollente dei primi tempi (un paio di giorni con pomata e scarpette… Comunque, le sopporta ma non le ama, le scarpette!) e infine una specie di blocco intestinale per grossi pezzi di cotenna ingurgitati in mancanza d’altro, risolto con una buona dose di lubrificante. Quanto a me, un morso ad una mano da parte di un Golden Retriever che stava discutendo con Poldo ed a cui mi sono incautamente avvicinato con le mani: come ho detto, non so nulla di cani… ma sto imparando!
Complessivamente, abbiamo avuto buona accoglienza (intendo dire per la notte, con il cane) quasi ovunque: ormai il pet friendly tourism è prassi consolidata e forse gioca a favore in queste terre la consuetudine della caccia. Grande meraviglia invece per il fatto che fossimo a piedi: grandi complimenti al cane, un po’ più trascurato l’umano…
Ultimo tocco di colore: ad Ilok, vicinissimo alla frontiera serba, sulla sponda sud del Danubio, c’è un museo nel castello degli Odescalchi, i nobili italiani cui l’imperatore Leopoldo donò il feudo per i servigi da loro prestati nella battaglia di Vienna contro gli Ottomani. All’ingresso, chiedo dove posso lasciare il cane. Non c’è problema, mi rispondono, il cane può entrare. Sono 40 kune per lei e 5 kune per il cane… Con tanto di biglietti separati!
Il viaggio a 6 zampe per quest’anno si chiude qui: il cammino verso Istanbul viene diviso in due, impegni e (forse anche…) voglia di far durare il ricordo di questi passi assieme a Poldo più a lungo, mi spingono a rimandare la seconda parte al prossimo anno.
Sotto le suole e sulle zampe ci portiamo più di 800km, un bel po’ di storie da raccontare e l’idea che camminare con il proprio cane, vivere assieme al proprio cane è semplicemente uno dei modi più intensi per sentirsi vivi.
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