PHILOSOPHY ART ATTACK: Filosofia per cinofili

Filosofia per cinofili: avvertenze prima dell’uso

DISCORSO SUL METODO Analizzare, teorizzare, provare empiricamente

Quando pensiamo alla nostra IDEA di cane, ovvero alla RAPPRESENTAZIONE che di questa specie possiamo farci noi esseri umani attraverso le nostre conoscenze, diversi sono i fattori che dobbiamo prendere in considerazione.

Dobbiamo infatti considerare il come questa idea può originarsi in noi, e già qui dobbiamo fare almeno due distinzioni. Da una parte vi sono tutte quelle conoscenze che noi possiamo apprendere attraverso le nostre diverse esperienze (ossia ciò che viene definito processo di ontogenesi); dall’altra vi saranno anche una serie di fattori legati alla nostra evoluzione di specie e dunque iscritti nel patrimonio genetico di ciascuno di noi (ovvero quello che si definisce processo di filogenesi).

Già questa prima osservazione può farci ben capire come sia quanto meno altamente improbabile, se non impossibile, se anche una tale idea esistesse, che due persone diverse possano condividere la medesima idea del cane, o di qualunque altra cosa, se non forse per caso.

Da una parte infatti il patrimonio genetico di ogni individuo sarà unico e irripetibile (con tutte le conseguenze rispetto a particolari abilità o predisposizioni personali), dall’altra sarà anche unico il particolare percorso di esperienze di ogni singola persona, e dunque anche i suoi processi di ragionamento ed elaborazione cognitiva.

In altre parole tutte le informazioni acquisite attraverso l’esperienza (esperienze dirette, ma anche racconti fatti da altri, o anche studi e approfondimenti conoscitivi), l’ordine nel quale esse verranno acquisite, ma anche la qualità delle esperienze (e dunque, ad esempio, il loro impatto emotivo) contribuiranno a formare le nostre opinioni. E infine queste non potranno essere considerate come entità stabili, simili a degli oggetti, perché per ogni nostra nuova esperienza, per ogni nostra discussione o ragionamento sull’argomento e per ogni nostro nuovo studio, le nostre opinioni potranno essere ulteriormente sviluppate e rimodellate in base a nuove informazioni acquisite, oppure in base alle nostre capacità.

L’unica soluzione a questo problema sembrerebbe essere la seguente: dato che non sembra possibile non soltanto che tutti gli esseri umani si formino da soli una medesima idea del cane, ma anche che solo due esseri umani diversi la possono condividere, forse l’unica soluzione è quella di PROVARE A COSTRUIRLA DA CAPO E PARTENDO DA ZERO.

E tuttavia, durante questo tentativo, ci rendiamo conto che in realtà non dobbiamo proprio partire proprio da zero, in quanto molte riflessioni sono state fatte e da molti secoli. Tali riflessioni sono state prima tramandate oralmente e poi per iscritto, ed oggi restano impresse su libri e supporti digitali. Come vedremo, proprio per il fatto di aver lasciato delle tracce scritte, tali riflessioni hanno poi costituito la base del pensiero di studiosi successivi, tanto che le idee esposte nei testi dei filosofi greci e i temi da loro indicati, possono in parte essere rintracciati anche in ciò che pensiamo oggi. Possiamo dunque dire che le parole di filosofi e scienziati, susseguitisi nei secoli, scritte e tramandate attraverso i loro testi rappresentano già il tentativo, operato fino ad oggi e da specialisti di ogni materia, di costruire LE BASI PER UN’IDEA CONDIVISA DEL CANE. E alle loro riflessioni possiamo fare riferimento per comprendere meglio anche cosa pensiamo noi oggi e perché.

Come può essere dunque possibile elaborare un’idea condivisa del cane? Ma soprattutto, se anche questo fosse possibile, come si può farlo in un modo CHE POSSA DIRSI SCIENTIFICO?

O che almeno possa ambire a diventarlo?

In questa domanda si cela una delle questioni più controverse dei nostri tempi, ovvero:

Cosa può dirsi SCIENTIFICO o SCIENTIFICAMENTE DIMOSTRATO?

In realtà, quanto meno a mio parere, la questione era già stata affrontata con discreto successo a partire dal Rinascimento e potremmo chiarirla semplicemente usando una diversa terminologia. Da una parte vi è il METODO DI RICERCA, e questo lo potremmo definire “metodo scientifico” o, come vedremo, forse più correttamente “METODO ANALITICO”; dall’altra quella che si definisce PROVA EMPIRICA, ma che oggi, a mio avviso non sempre in modo corretto, chiamiamo “dimostrazione scientifica”, il cui modello di riferimento standard sta attualmente diventando l’esperimento di laboratorio.

E tuttavia non sempre si comprende quale è il RAPPORTO TRA METODO DI RICERCA E PROVA EMPIRICA.

In genere il processo avviene nel seguente modo: 1) attraverso l’applicazione di un METODO di ricerca si elabora una TEORIA; 2) attraverso questa TEORIA si fanno delle PREVISIONI; se tali PREVISIONI si verificano LA TEORIA PUÒ DIRSI PROVATA empiricamente o scientificamente.

E tuttavia dovremo considerare che il metodo si applica sempre a partire da certi presupposti, e che ciò che si ritiene provato empiricamente può a sua volta diventare presupposto per un’ulteriore applicazione del metodo. Quindi, maggiore sarà il numero dei presupposti, maggiore anche sarà il margine di errore, qualora uno o più di essi non si rivelassero fondati.

Si tende volgarmente a pensare, in genere, che una teoria possa dirsi scientifica solo e soltanto successivamente alla prova empirica, ovvero alla dimostrazione scientifica. Questa visione semplicistica, non solo non rispecchia la realtà della ricerca, ma può arrivare addirittura a contrastarla, nel momento che una nuova teoria provi a confutare quanto si ritiene essere già stato provato in passato. Galileo, quando dovette rinnegare la teoria di gravitazione dei pianeti, fu l’emblema di tale processo di contrasto.

In realtà i rapporti tra teoria e prova empirica sono assolutamente più complessi, a partire dal fatto che una SINGOLA TEORIA scientifica può avere molte DIVERSE PROVE empiriche a suo supporto e consente di fare UN GRAN NUMERO DI PREVISIONI diverse, tanto che alcune dimostrazioni empiriche non sono a volte neanche necessarie o, in certi casi, addirittura neanche possibili. E tuttavia, tali teorie, vengono universalmente considerate scientifiche. La ragione di ciò, come vedremo, e che le accomuna tutte, è che sono state elaborate con un METODO SCIENTIFICO basato sull’ANALISI.

Per fare un esempio, la teoria della relatività di Einstein è una teoria scientifica che si basa su postulati del tutto teorici e che non soltanto ci consente di spiegare tutto ciò che ci è possibile osservare empiricamente, ma anche di spiegare fenomeni che non abbiamo mai osservato, o che addirittura non siamo ancora in grado di osservare, come ad esempio cosa accadrebbe se un corpo raggiungesse la velocità della luce. La TEORIA, in altri termini, è ciò che ORIENTA LA RICERCA E FORNISCE IL MATERIALE di supporto per tutte le successive prove empiriche.

È stato per dimostrare empiricamente ciò che Einstein aveva teorizzato su un semplice pezzo di carta con la formula E=mc², a partire da calcoli teorici, che si è dato l’avvio alla ricerca nucleare, che poi ha dimostrato empiricamente e concretamente la correttezza di questa formula con la creazione della bomba atomica. E la sua teoria, inoltre, ipotizza cose che per noi sono talmente lontane, come i buchi neri, che è quasi un secolo che la scienza si sforza di darne una dimostrazione scientifica, o meglio, una prova empirica.

Certo ogni teoria parte dai suoi presupposti, e di questi è sempre necessario indagare la fondatezza. Ma ciò che caratterizza una teoria come scientifica non sono soltanto i PRESUPPOSTI, ed anzi questi POSSONO SEMPRE CAMBIARE. Ciò che caratterizza una TEORIA SCIENTIFICA è il fatto di essere ELABORATA CON UN METODO che possa dirsi scientifico, ossia un metodo che consente di formulare i giusti presupposti affinché la dimostrazione empirica sia poi effettivamente possibile.

Possiamo definire il METODO come l’arte di saper porre I GIUSTI PRESUPPOSTI o, in altri termini, quella di saper fare LE GIUSTE DOMANDE. D’avanti infatti a un qualsiasi OGGETTO DI INDAGINE, teorico o pratico, concreto o astratto, le DOMANDE che faremo ORIENTERANNO ANCHE LE NOSTRE RISPOSTE, e se porremo una questione in termini errati o illogici questo falserà tutti i nostri risultati.

E tuttavia anche quella di porre le giuste domande è un’arte che va APPRESA, con le sue LOGICHE e le sue TECNICHE.

A partire dal Rinascimento (attorno al XVI/XVII Secolo) e fino ai giorni nostri, il pensiero filosofico ha elaborato un importante metodo di ricerca che a tutt’oggi viene considerato non soltanto valido, ma il migliore in nostro possesso. Tanto che esso viene comunemente denominato “metodo scientifico”. Già in pratica usato da scienziati come Bacone o Galileo, esso fu formalizzato per la prima volta da Cartesio, filosofo e matematico, nella sua opera Discorso sul Metodo e lo definì METODO ANALITICO-DUBITATIVO. Attraverso l’applicazione di questo metodo egli arrivò non solo alla formulazione della famosa teoria sulla distinzione mente/corpo, di cui ancora oggi, sebbene in altri termini, si continua a dibattere (ad esempio nella contrapposizione tra cognitivi e behavioristi), ma anche a importanti scoperte nella matematica e nella fisica. Il celebre Piano Cartesiano, ad esempio, non è altro che un semplice risultato dell’applicazione del suo metodo.

Ma in cosa consiste questo metodo?

In realtà all’apparenza è molto semplice, perché esso dice soltanto che d’avanti a un problema complesso, bisogna SCOMPORLO nelle sue PARTI più semplici e ANALIZZARLE SEPARATAMENTE.

Ad ogni modo, già questo consentì immediati progressi del pensiero scientifico del tempo. Fino al XV secolo il pensiero scientifico era completamente bloccato davanti alla spiegazione di certi fenomeni naturali. Si riteneva infatti, in base ai nostri dati sensoriali, che qualità come il calore del fuoco o la velocità del fulmine fossero delle entità reali presenti negli oggetti e non il frutto dei loro rapporti con altro. Ciò rendeva impossibile la nascita di scienze quali la fisica, che invece si occupa di studiare e misurare proprio le variazioni di questi rapporti.

Attraverso un semplice piano cartesiano possiamo capire cosa significa metodo analitico e quale fu la sua rivoluzione, anzitutto culturale. Esso infatti permise di osservare cose che prima non vedevamo semplicemente perché sbagliavamo a impostare la questione. Suddividere infatti un problema complesso in parti semplici può essere tradotto come considerare separatamente lo spazio percorso e il tempo impiegato. La velocità non sarà altro che il RAPPORTO tra questi due fattori e varierà in base alla loro variazione. Una volta che si è smesso di considerare la velocità come qualcosa, una entità, da cercare all’interno dei corpi e, attraverso l’analisi dei fattori che la determinano, si è cominciato a vederla come nient’altro che un rapporto tra lo spazio da questi percorso e il tempo impiegato, così come su un piano cartesiano, e si è cominciato così anche a misurarla attraverso dei grafici, solo in questo modo è potuto nascere uno studio scientifico della FISICA TEORICA, e la scienza fare enormi progressi per l’epoca.

Già questo ci fa comprendere una cosa importante. Il metodo scientifico non nasceva principalmente con l’intento di dimostrare dei fenomeni particolari attraverso delle osservazioni meticolose, così come può essere un esame di laboratorio. Esso nasceva per spiegare fenomeni generali che allora ci erano sconosciuti, come il moto dei corpi e le sue regole. E in questo tentativo, il metodo scientifico, o meglio, il METODO ANALITICO nasce anzitutto come uno STRUMENTO DI INDAGINE, ovvero un modo PER APPROCCIARSI ALLA RICERCA, tanto pratica quanto teorica. Ed infatti era alla matematica e alla geometria che Cartesio si ispirava. Il teorema di Pitagora o quello di Euclide sono gli esempi perfetti, a suo avviso, di cosa può intendersi per dimostrazione scientifica. Essi infatti, a partire da un’analisi di particolari fattori, dimostrano in modo assoluto e incontestabile l’esistenza di particolari tipi di rapporti numerici tra lati e angoli di tutti i triangoli.

Duplice il paradosso.

Da un lato il modello della SCIENZA PERFETTA e della DIMOSTRAZIONE SCIENTIFICA diventavano le discipline più astratte che esistano, la matematica e la geometria, che nei loro postulati non potranno mai ricevere una reale dimostrazione che possa dirsi propriamente empirica. Esse infatti per definizione si occupano di “oggetti” – i numeri, i punti e le linee – che non possono esistere nella realtà, in quanto PER DEFINIZIONE NON HANNO DIMENSIONI, ma nulla esiste nella realtà che non abbia almeno tre dimensioni.

Ma dall’altro lato questo consentiva di fare previsioni anche di fenomeni fisici ed anche di fenomeni che non si erano mai osservati prima. E così, dall’osservazione di RAPPORTI NUMERICI tra FIGURE GEOMETRICHE, ossia dall’indagine dei rapporti tra matematica e geometria, è nata la FISICA MODERNA che studia i corpi e il loro movimento, che ci consente di spiegare cosa sia un lampo e la velocità della luce, ma anche di progettare cose come i motori o i razzi spaziali.

Tornando al nostro discorso principale, ossia alla nostra idea di cane, o meglio all’idea che ognuno di noi può avere nel sentir nominare questa parola, come possiamo impostare un discorso scientifico? In altre parole, se l’idea che ognuno di noi ha del cane è diversa da quella di chiunque altro, come possiamo trovare un terreno comune? Ma come possiamo anche solo pensare di dimostrare l’esistenza di una cosa come un’idea?

Per superare questa impasse il pensiero filosofico potrebbe fornire importanti strumenti.

In primo luogo il metodo analitico, attraverso i suoi strumenti di analisi, al fine di elaborare possibili teorie.

Come è possibile dimostrare l’esistenza di un OGGETTO ASTRATTO come un’idea?

Anzitutto dando una DEFINIZIONE ESAUSTIVA di cosa è un’idea e dunque: come si origina, come si compone, quali sono le sue funzioni.

Se noi infatti possiamo in qualche modo provare che una certa idea ha avuto una sua origine storica, che essa si compone di diverse parti, che in base ad essa abbiamo preso decisioni e orientato il nostro comportamento e che continuiamo a farlo oggi, noi potremo ragionevolmente affermare che QUESTA IDEA ESISTE, pur se coi nostri sensi non la possiamo percepire. La cosa non ci è poi così difficile da immaginare, visto che riusciamo a credere nell’esistenza di cose come l’elettricità. Anche l’elettricità può a tutti gli effetti essere definita come un oggetto del pensiero, qualcosa di astratto che in realtà non esiste in quanto tale nel mondo fisico. Per definizione infatti l’elettricità non è una cosa, ma un rapporto tra cose, essa è un insieme di fenomeni fisici associati al moto della materia. Dunque noi non potremo mai osservare l’elettricità in sé, ma solo gli effetti della presenza di particolari rapporti di moto della materia. Possiamo considerare il termine elettricità, e così anche il termine idea, come un’UTILE ASTRAZIONE (e torneremo su questo termine) perché esso non rappresenta una cosa in sé, ma un rapporto tra cose diverse, che tuttavia manifestano una loro regolarità. E così un’idea la possiamo considerare come una mappa, dove non sono importanti le linee che vediamo con gli occhi, ma i percorsi che esse rappresentano, che assumono significato solo perché la mappa descrive un paesaggio reale, fatto di partenze, arrivi e destinazioni. Come vedremo, a cominciare dall’analisi di affermazioni come “il cane è diverso da me” o “l’uomo è diverso dall’animale” esse rappresentano degli importanti SNODI DI SIGNIFICATO attorno a cui non solo ognuno di noi, ma anche i grandi pensatori del passato hanno costruito grandi riflessioni. Esse possono esser viste un po’ come delle piazze segnate su una mappa, dei luoghi di interesse che tutti vanno a visitare e di cui ognuno si porta a casa il proprio ricordo.

Possiamo dunque ragionevolmente concludere che TALI AFFERMAZIONI sono PARTE DELLA NOSTRA IDEA e che in qualche modo SONO CONDIVISE.

In secondo luogo, un’ulteriore importante questione riguarda gli STRUMENTI DI RICERCA. Cosi come la ricerca empirica si avvale dei suoi strumenti, anche quella teorica possiede i suoi. Lo vediamo chiaramente in scienze come la matematica, che ha elaborato i propri SIMBOLI per rappresentare le sue OPERAZIONI, come ad esempio “+ “per l’aggiungere, “:” per il dividere, o “²” per elevare al quadrato. Allo stesso modo l’indagine filosofica si avvarrà di propri strumenti di lavoro. Ed essendo questo lavoro quello di formulare dei giudizi logici nella forma di testi scritti essa si avvarrà di artifici retorici per evidenziare i suoi passaggi logici.

Così come una ricerca di laboratorio si avvale di strumenti di ricerca, come microscopi o telescopi, a seconda che voglia indagare l’infinitamente grande o l’infinitamente piccolo, così la ricerca teorica si avvale dei suoi strumenti di lavoro.

Possiamo definire tali strumenti ARTIFICI RETORICI ed essi rappresentano, né più né meno, che degli STRUMENTI DI RICERCA, usati con SCOPI PRECISI E SOGGETTI A DETERMINATE REGOLE.

Uno di tali strumenti, che serve per mettere in risalto alcuni aspetti particolari è la METAFORA, che identifica alcune caratteristiche peculiari di un oggetto e le rapporta a qualcosa di simile. Con questo importante strumento retorico si isolano alcune caratteristiche di una cosa e le si indaga separatamente. La metafora, dunque, non è un modo per dire che due cose sono uguali tra loro, ma uno STRUMENTO DI ANALISI che consente di mettere a fuoco alcuni aspetti particolari di un dato problema. Se ad esempio noi diciamo che un campo di grano sferzato dal vento assomiglia al mare sferzato dalle onde, non vogliamo in nessun modo identificare le spighe di grano alle molecole dell’acqua, ma vogliamo considerare e porre l’accento solo e soltanto su quel particolare aspetto, “l’ondeggiare”, che è probabilmente l’unico per cui i due fenomeni si possono somigliare.

La metafora, dunque, così come un telescopio, serve per indagare fenomeni più generali così come i rapporti tra le cose e le loro regole.

In questo senso, nelle Meditazioni meta-cinofile, va intesa la metafora dell’automobile o quella dell’applicazione degli smart phone.

Come si può notare i tre punti messi a fuoco, rappresentati attraverso la lente della metafora dell’automobile, non sono altro che il risultato di un processo di analisi in cui vengono postulati: 1) come si origina un’idea; 2) come essa è formata e composta; 3) qual è la sua funzione. Questi saranno i temi che si andranno successivamente ad indagare separatamente, secondo quanto prescritto dal METODO ANALITICO. Questi, in pratica, saranno i PRESUPPOSTI del nostro ragionamento, la cui fondatezza sarà ciò che PROVEREMO SUCCESSIVAMENTE A DIMOSTRARE. A questo scopo si sarebbero potuti scegliere molti altri termini di paragone; quello con le automobili è solo uno dei possibili. Si poteva scegliere una nave o un aeroplano, o qualunque mezzo di trasporto. Avremmo potuto dire che le idee sono come i tuc-tuc, ad esempio, o come un deltaplano.

Un ulteriore strumento di indagine è quello dell’ASTRAZIONE. L’astrazione è un processo di ragionamento che consente di estrapolare dei PARTICOLARI CARATTERI CHE ACCOMUNANO COSE DIVERSE. Se noi ad esempio osserviamo che un cane ha quattro zampe, possiamo ragionevolmente astrarre l’idea che tutti i cani hanno quattro zampe e dunque trarne una regola. E tuttavia un’astrazione richiede di porre alcuni presupposti. Potrebbe infatti essere che alcuni cani hanno subito l’amputazione di un arto e dunque non avere più quattro zampe, oppure potremmo noi aver posto un presupposto sbagliato. Se invece che dire: “se questo cane ha quattro zampe, allora tutti i cani avranno quattro zampe”, noi avessimo invece affermato che “siccome questo cane ha le zampe nere, allora tutti i cani hanno le zampe nere” noi avremmo posto un presupposto errato che avrebbe inficiato ogni nostro ulteriore ragionamento.

UN’ASTRAZIONE DUNQUE CONTEMPLA DELLE ECCEZIONI E RICHIEDE DEI PRESUPPOSTI.

In pratica, attraverso l’astrazione, da un determinato oggetto si estrapolano alcune caratteristiche che lo rendono comune anche ad altri e si imposta un discorso più generico, così come si fa quando, a partire dalle caratteristiche di un particolare triangolo, si desume una legge che valga per tutti, oppure quando, dalla considerazione che “il cane è diverso da me” si desume che “l’uomo è diverso dall’animale”. E tuttavia, benché la matematica, come scienza puramente teorica, non ammette eccezioni alle sue regole, ogni scienza empirica dovrà invece calcolare la limitazione dei suoi strumenti di lavoro, e dunque un certo margine di errore.

Possiamo paragonare l’astrazione ad un microscopio che ci consente di osservare caratteristiche particolari comuni a cose diverse.

E tuttavia, un’ulteriore caratteristica importante del processo di astrazione, motivo per cui più sopra si è parlato di “UTILE” ASTRAZIONE, è il fatto di consentire a noi umani di considerare come fossero delle “cose in sé”, quelle che in realtà sono soltanto delle “proprietà delle cose”, delle particolari caratteristiche, come ad esempio il loro moto, ma anche, possiamo tranquillamente affermare il rapporto di diversità/somiglianza tra le rappresentazioni che possiamo farci di due cose diverse come noi e i cani. anche questo, in altri termini può in qualche modo essere misurato. Ciò che dobbiamo fare, dunque, è accertarci di essere in possesso dei giusti strumenti di misura.

Gli ARTIFICI RETORICI, dunque, sono dei veri e propri STRUMENTI DI INDAGINE, attraverso cui il pensiero si è storicamente evoluto e che hanno mostrato tutta la loro utilità. Essi sono soggetti alle loro REGOLE e vanno compresi nel loro SIGNIFICATO e nei loro PRESUPPOSTI, ma se qualcosa è certo è che sicuramente non andranno mai presi alla lettera.

E d’altra parte, così come tutti gli strumenti scientifici hanno nel corso del tempo subito trasformazioni e sono diventati sempre più attendibili, anche gli strumenti retorici da noi utilizzati nel corso della nostra storia sono cambiati e sono diventati più complessi. Così come in passato, per un intervento chirurgico, disponevamo soltanto di grezze lame e di precarie condizioni igieniche, che rischiavano coi loro danni di compromettere anche un intervento ben riuscito, e dunque alle volte era più sicuro amputare un arto piuttosto che provare a curarlo, così anche gli strumenti retorici che utilizzavamo in passato erano così poco raffinati che falsavano anche le nostre osservazioni, impedendoci così di fare ulteriori progressi. E così come oggi siamo in possesso di bisturi taglienti e sale operatorie attrezzate per non rovinare gli esiti dei nostri interventi, altrettanto i nostri strumenti retorici si sono sviluppati e perfezionati. Un altro di questi è la SIMILITUDINE, di cui avete appena letto un esempio e che è molto simile a una metafora, in quanto paragona tra loro NON tanto delle COSE, MA dei RAPPORTI che esistono TRA COSE diverse.

Ma cosa si può dire degli strumenti di cui ci siamo serviti in passato?

Uno degli strumenti che osserveremo è quello del MITO usato nell’Antica Grecia. Vedremo come il mito, in assenza di conoscenze empiriche dei fenomeni naturali, lasci molto spazio al soprannaturale e al fantastico per spiegare questioni che non potevano essere comprese, come ad esempio certi rapporti causali. E così si affida al titano Epimeteo la creazione di tutti gli animali, uomo compreso, ma poi si spiega col furto agli dei del fuoco e della tecnica la particolarità della natura umana. 

E tuttavia proprio nel distinguere uomo e animali per le loro capacità, ma non per la loro origine, si mostra come già allora venissero fatte importanti DISTINZIONI LOGICHE E ANALITICHE rispetto ai rapporti causali, mostrando una capacità di indagine analitica del mondo molto più profonda di ciò che a prima vista potrebbe apparire a una lettura superficiale.

Un ulteriore strumento retorico, che andremo poi ad indagare, è quello del RACCONTO BIBLICO, attraverso cui per oltre un millennio, abbiamo provato a spigare la realtà. Questo strumento retorico, come vedremo, si diversifica dai precedenti perché pone come presupposto di base l’esistenza di una VERITÀ RIVELATA. Sarà in rapporto a questa verità che tutte le cose del mondo furono per secoli di conseguenza interpretate. Come vedremo questa concezione ha dato luogo ad alcuni dei pregiudizi più forti e resistenti nella nostra storia, ma allo stesso tempo ha profondamene modificato anche l’immagine che noi avevamo di noi stessi.

Presupporre l’esistenza di una verità assoluta e rivelata, e che il nostro compito è quello di comunicarla e diffonderla in tutto il mondo, ha avuto un enorme impatto sul nostro pensiero e sul nostro modo di rapportarci non solo ai cani, ma anche agli esseri umani e a tutto il mondo animale. Se ad esempio la religione ebraica, pur essendo una dottrina monoteista, narrava di uno speciale patto tra un particolare popolo, quello ebraico, e il suo dio, del quale questo popolo era il favorito, la dottrina cristiana introduceva un nuovo strumento, il battesimo e la conversione, tale per cui qualunque essere umano avrebbe potuto abbracciare il nuovo credo e conoscere la sua verità. Nasceva per la prima volta così una DOTTRINA UNIVERSALISTA che aveva l’ambizione di diffondersi e farsi abbracciare da ogni essere umano. Ciò ha portato conseguenze importanti, come l’affermarsi dell’idea di poter dare una spiegazione unica e definitiva di tutto ciò che esiste, ma anche abomini come quando, attraverso una catechizzazione forzata, si sono sottomessi interi popoli durante il colonialismo, perché rifiutavano la “nostra verità”.

Vedremo come, anche rispetto agli animali, il pensiero cristiano ha avuto importanti ripercussioni, che hanno influenzato profondamente il nostro pensiero e continuano a farlo anche tutt’oggi.

In conclusione, anche la ricerca teorica e anche la ricerca su questioni astratte, come l’esistenza di un’idea, può essere condotta o meno con metodo scientifico. O meglio, forse è il caso di parlare, onde evitare ulteriori confusioni, di METODO ANALITICO.

Questo sarà il metodo applicato nelle Meditazioni Meta-cinofile in maniera quanto più possibile meticolosa. E sarà questo che vi invitiamo ad osservare per comprendere le conclusioni raggiunte. Ogni conclusione infatti non sarà altro che la deduzione logica di qualche conseguenza a partire da determinati postulati, ovvero che un’idea può essere considerata come una “utile astrazione” dei contenuti rappresentativi del nostro atto di ragionare. Per mettere in dubbio una determinata conclusione, sarà quindi necessario contestare i presupposti su cui si poggia e la loro coerenza, più che la forma dei suoi RISULTATI, perché questi non saranno altro che LE CONSEGUENZE LOGICHE DEI PRINCIPI ANALITICAMENTE IMPOSTATI.

Francesco Cerquetti

Laureato in filosofia, educatore cinofilo e esperto in etologia applicata e benessere animale. Mi occupo anche di divulgazione e sono autore del libro #IOSONOACASA, storie di cani di canile e di piccole magie quotidiane

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