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Cane ucciso a Parabiago: luci ed ombre sulla normativa penale applicabile al caso concreto

Risale a pochi giorni fa, e precisamente al 12.11.2023, la notizia dell’uccisione di un cane di razza “Rottweiler” da parte di un cacciatore.

Tale accadimento ha avuto sin da subito una grande rilevanza mediatica ed ha nuovamente gettato benzina sul fuoco (semmai tale fuoco si fosse realmente spento) sulla atavica diatriba della necessità di regolamentare con norme e previsioni nettamente più stringenti di quelle odierne (con conseguente inasprimento delle sanzioni applicabili), le leggi nazionali e regionali sulla disciplina venatoria.

Orbene, tale articolo viene ovviamente redatto con tutte le cautele e le riserve che si debbono applicare in quanto non ci è dato di sapere quale sia lo stato e il grado dell’attuale procedimento penale e il relativo impianto probatorio; si va di seguito ad esaminare esclusivamente la disciplina ASTRATTAMENTE applicabile al caso concreto, essendo riservato alla Procura Della Repubblica ogni eventuale indagine o contestazione.

Preliminarmente occorre chiarire che le norme contenute nel titolo IX bis del Codice Penale, denominato “Dei delitti contro il sentimento per gli animali” si occupa di tutelare come bene giuridico primario non l’animale in quanto tale, ma, come grammaticalmente si evince, il sentimento umano di pietà verso gli animali.

Tale visione, antropocentrica e poco attuale, andrà sicuramente incontro ad una rivisitazione sia da parte della dottrina che della giurisprudenza a seguito della novella Costituzionale che ha inserito nella nostra Carta fondamentale, precisamente all’articolo 9, sia la tutela dell’ambiente che la tutela degli animali.

Vien da sé quindi che è necessaria una evoluzione interpretativa che si concentri nell’affidare anche ai nostri amici animali un ruolo di soggetti giuridici abbisognevoli di tutela.

Il caso del “Rottweiler” di Parabiago

Nel caso di specie, come riportato dalla stampa nazionale, il pomeriggio del 12 novembre del corrente anno, un cacciatore di 44 anni avrebbe esploso un colpo di arma da fuoco a poche centinaia di metri dalle abitazioni in una zona rurale dell’hinterland milanese, a Prabiago, cagionando la morte del cane Uma, di razza Rottweiler.

Immediatamente fermato dalle forze dell’ordine, il cacciatore si sarebbe difeso dapprima sostenendo di aver scambiato il molosso per un animale selvatico e poi, cambiando versione, di aver esploso il colpo in quanto il cane si accingeva ad attaccarlo.

Entrambe le versioni, ovviamente, sono state smentite dalla famiglia della povera Uma la quale sostiene a tutt’oggi la non aggressività dell’animale e non si spiega come un esperto cacciatore possa aver scambiato un cane per un animale selvatico.

Al di là degli aspetti etici, che non possono e non devono contaminare la scrittura giuridica, tale questione è sicuramente rilevante dal punto di vista penale per una serie di atti e fatti che di seguito andremo ad analizzare.

Anzitutto, il cacciatore è stato denunciato a piede libero dalle autorità procedenti per uccisione di animali ex.art. 544 bis del codice penale.

Tale previsione difatti punisce con la reclusione da 4 mesi a 2 anni, chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale. Inoltre, le autorità hanno provveduto a sequestrare preventivamente sette fucili da caccia all’indagato che comunque li deteneva a norma di legge.

A parere dello scrivente, tale ipotesi accusatoria mossa dalla Procura procedente è perfettamente in linea con quanto astrattamente applicabile e risulta quasi “atto dovuto”; ma ciò che porta necessariamente a dover attuare una maggior riflessione, è rappresentato dal fatto che il colpo di arma da fuoco sarebbe stato esploso ad una distanza inferiore a 160 metri dalle abitazioni e soprattutto sotto lo sguardo attonito del figlio della proprietaria di Uma, di anni 13, che si è visto letteralmente uccidere il suo amato compagno a 4 zampe da un cacciatore anche privo di giubbotto catarifrangente (n.d.r. notizia riportata dalla stampa).

Quando si parla di caccia, occorre tener presenti non solo i numerosi regolamenti regionali, ma anche quanto disciplinato dalla Legge n.157 del 92 e successive modifiche.

Orbene, dalla lettura delle norme emerge chiaramente che la caccia è vietata in distanze inferiori ai metri 150 dalle abitazioni, fabbricati, edifici adibiti a posto di lavoro ecc…e che l’art 703 del codice penale punisce chiunque, senza la licenza dell’Autorità, in un luogo abitato o nelle sue adiacenze o in una pubblica via (omissis) spara armi da fuoco (omissis).

Quanto sopra detto, è stato ribadito anche dalla Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, che nella sentenza n.38470 ha ribadito che “risponde del reato di accensioni ed esplosioni pericolose il cacciatore che spara a meno di 150 metri dalle abitazioni”.

Nel caso di specie, quindi, tali previsioni sono astrattamente applicabili ma, l’effettiva distanza dello sparo, dovrà senza dubbio essere stabilita da consulenti tecnici della Procura e delle parti.

Ma vi è di più, secondo quanto riportato dalla stampa, il fatto sarebbe avvenuto addirittura in un parco pubblico, laddove la caccia, ovviamente, sarebbe vietata ma non ben si comprende se la stampa abbia riportato tale nozione di parco pubblico adducendo ad una zona interdetta alla caccia o parco semplice (laddove l’attività faunistico-venatoria invece sarebbe concessa).

Ad essere rilevante inoltre, è il dato che il cane Uma sarebbe sfuggito dal controllo della padrona.

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Tale evento, laddove provato e documentato, darebbe luogo all’applicazione, questa volta ai danni della padrona del cane, del dettato di cui all’art 672 del codice penale che norma e punisce l’omessa custodia e mal governo di animali. 

Insomma, le luci e le ombre sul caso di Uma si potranno dissipare solo nelle aule di giustizia dove i familiari del cane promettono battaglia costituendosi parte civile.

AUTORI

Roberta Farina e Dante Libbra

Dogsportal Redazione

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