Cani e societàEducazione cinofila e relazione con il cane

Gli uomini, i cani e la razza.

Spesso nella ricerca di una definizione che spieghi l’essenza di una cosa ci scontriamo con due ambiti che purtroppo sono antitetici: la correttezza della definizione scientifica e la correttezza della definizione politico/sociale. Sono antitetici perché da una parte si parla di fatti e dall’altra di valori.  

Questa antitesi la troviamo anche nel concetto di razza. La parola stessa, Razza, è diventata problematica a causa della genialità della classe politica del recente passato che è arrivata al paralogismo che se ci sono razze diverse all’interno della specie umana, ci sono allora quelle migliori e quelle peggiori: basta quindi attraverso l’eugenetica eliminare le peggiori per migliorare l’umanità. Anche nel mondo cinofilo l’ombra dell’eugenetica incombe come un grande convitato di pietra e porta alle posizioni estreme di coloro che augurano ogni male a chi non adotta un cane in canile e di coloro che non concepiscono il cane se non con il pedigree. Se ci rifacciamo alla correttezza politica e sociale del termine razza non arriveremo mai ad una definizione scientifica. Basta pensare, dal punto di vista sociale, come il termine razza sia stato usato ed abusato e vari a seconda del contesto. Sei un centravanti di razza è un bel complimento, ben diverso dal dire “razza di idiota”. Interessante anche l’uso che ne fece Vittorio Amedeo II duca di Savoia quando, litigando con un suo ministro che apparteneva ad una famiglia di Mondovì da poco nobilitata ma con fama di cospiratori, ebbene al suo ministro si rivolgeva dicendogli che proveniva da una razza da forca (per la cronaca, la famiglia si chiamava Cordero di Montezemolo).

Quando si parla di razza quindi, dobbiamo arrivare ad una definizione la cui correttezza scientifica si basi sui fatti. Dobbiamo quindi chiedere alla Genetica cosa veda quando guarda il genoma. In un certo senso la faccenda qui si complica ancora di più in quanto la definizione di Razza per il genetista è piuttosto incerta e volatile. Per delimitare il campo ad un ambito trattabile i biologi parlano di razza biologica in lettura darwiniana, mettendo spesso anche in discussione il concetto stesso di specie. Abbiamo per fortuna però delle definizioni operative che consentono un discorso scientifico. Operativamente, dicevamo, ci sono dei soggetti della stessa specie che occupano uno spazio geografico diverso ma che hanno delle caratteristiche in comune riconoscibili: in questo senso si parla di razza. Gli Scimpanzé in Africa, ad esempio, sono di quattro razze e se diamo ad un esperto un pezzo di DNA di questi scimpanzé, questi vi saprà dire con sicurezza a quale dei quattro gruppi appartiene. In casi come questi si può affermare che le razze esistono. Ma sono tutti così gli esseri viventi? Con i tonni è ad esempio impossibile arrivare ad un risultato simile.

Non è il DNA di un tonno a pinna gialla a dirci da quale oceano provenga. E questo discorso vale per tantissime specie di uccelli. Dal punto di vista biologico quindi si parla di razze con l’attribuzione di un individuo ad un certo gruppo con un margine di errore assolutamente insignificante.

Per quanto riguarda le razze umane, i tentativi di catalogazione sono stati confusi ed inutili in quanto è tale la commistione tra tutti noi che è possibile trovare affinità genetiche più con un coreano di Seul che con il nostro vicino di casa. Già Darwin nell’Origine dell’uomo scoraggiava questo tentativo, ricordando l’impossibilità scientifica di una cosa laddove su questa cosa manchi la definizione.  Ai nostri giorni siamo arrivati a saper leggere il genoma, ma non riusciamo ancora a capirlo. Conosciamo la grammatica ma non la sintassi. Ma sappiamo fare i confronti e dai confronti notiamo le differenze: negli uomini queste differenze sono nell’ordine dell’1 X 1000. Dal punto di vista biologico è improponibile quindi parlare di razze umane.

Con gli animali e in particolare con la domesticazione le cose sono diverse.

Già Darwin nell’Origine della specie parla della selezione (e dei suoi tempi) operata dalla natura. Con la domesticazione questi lassi temporali si riducono: l’uomo accorcia i tempi e qui… casca il cane. Il risultato che otteniamo è che ci ritroviamo alani e chihuahua: visti da Marte, specie diverse. Il fatto è che a livello di DNA queste differenze si vedono, le tracce ci sono. Nel Dna umano sono state studiate 650000 posizioni, 650000 lettere in cui possiamo essere diversi. Sono state quindi confrontate tra loro 20 popolazioni (650000 * 20*19/2 confronti). Da questi confronti non si è trovato un solo caso in cui una popolazione umana in una posizione del DNA abbia una certa cosa e un’altra popolazione umana ne abbia un’altra. Siamo tutti talmente mescolati che è impensabile parlare di razze. Nei cani invece ci sono lunghi pezzi di cromosoma che sono perfettamente identici in tutti i membri della stessa razza. C’è, ad esempio, un gene particolare che determina la colorazione della pelliccia che si chiama S: tecnicamente viene definito S grande e S piccolo. Tutti quanti i pastori tedeschi sono identici perché hanno il gene S grande e quindi tecnicamente sono tutti quanti SS (quando la nemesi storica ci mette lo zampino). Questa omogeneità è presente nei cani ed è quindi corretto parlare di razze. La conseguenza che ne deriva è che i comportamenti selezionati in quella che è la memoria di razza fa sì che diversi cani siano più portati per certe attività che per altre. Anche qui gli ambiti potrebbero creare una dicotomia: se pensiamo all’opera della natura, o meglio alla mancanza di intervento dell’uomo nella selezione, il concetto di razza “utile” perde di significato, pur restando il concetto di memoria di specie. Se pensiamo invece all’intervento umano nella selezione delle caratteristiche, allora avremo l’esaltazione di certi comportamenti istintivi. Ma la dicotomia non sussiste, nel senso che la specie è perfetta per quello che è previsto dalla natura (altrimenti si sarebbe estinta) e la razza è perfetta in fieri, quindi sempre migliorabile, per quanto riguarda i comportamenti particolari. Se ci aggiungiamo il fatto che le esperienze personali vanno poi a modificare il comportamento, pare ovvio che considerare tutti i cani “uguali” sia un errore di valutazione.

Un proverbio dice: “quando parli con un idiota, assicurati che lui non stia facendo lo stesso”.

Ma il confronto con interlocutori che parlano alla “pancia” portando a posizioni non supportate dai fatti, che siano di una fazione o dell’altra, alla fin fine non fa che danneggiare la cinofilia.

Tra le fonti Guido Barbujani, genetista.

Davide Cardia

addestratore ENCI Sezione 1° Dog Trainer Professional riconosciuto FCC Direttore Tecnico del centro cinofilo Gruppo Cinofilo Debù Docente in diversi stage con argomenti legati alla cinofilia e alla sua diffusione Docente corsi di formazione ENCI per addestratori sezione 1 Ospite in radio e trasmissioni televisive regionali Preparatore/Conduttore IPO e Mondioring Autore del libro “Addestramento con il premio” edizioni De Vecchi Curatore del libro “Io e il mio Bullgod” edizioni De Vecchi

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