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IL COLLARE ELETTRICO E LA DIFFERENZA DI GENERE

E’ legale utilizzare il collare elettrico sui cani?

La Giurisprudenza si è espressa piuttosto chiaramente sul punto:


chiunque faccia indossare un collare elettrico al proprio cane è passibile si sanzione penale.

Per  usare le parole utilizzate dalla Corte di Cassazione Penale con la sentenza 7 settembre 2013, n. 38034, possiamo affermare che il collare elettrico (c.d. “antiabbaio”) 

si fonda sulla produzione di scosse o altri impulsi elettrici che, tramite un comando a distanza, si trasmettono all’animale provocando reazioni varie. Trattasi in sostanza di un addestramento basato esclusivamente sul dolore, lieve o forte che sia, e che incide sull’integrità psicofisica del cane poiché la somministrazione di scariche elettriche per condizionarne i riflessi e indurlo tramite stimoli dolorosi ai comportamenti desiderati produce effetti collaterali quali paura, ansia, depressione e anche aggressività


La Corte ha così inequivocabilmente sentenziato, anche sulla scia della precedente  sentenza del 2007, che l’uso del collare antiabbaio, a “prescindere dalla specifica ordinanza ministeriale e dalla sua efficacia, rientra nella previsione del codice penale che vieta il maltrattamento degli animali” conseguendone che il suo utilizzo sia completamente e pienamente riconducibile alla fattispecie dell’art. 544 ter c.p. 

Chiunque possieda un animale e lo consideri un membro integrante della famiglia trova inconcepibile che possa essere perpetrata una tale violenza, anche solo come metodo sedicentemente educativo.


Un addestramento serio e coscienzioso non dovrebbe mai consistere nell’uso della violenza, di nessun genere, e su nessun tipo di creatura vivente e dovrebbe essere sempre affidato a esperti del settore, quali veterinari comportamentalisti ed educatori cinofili.
Tuttavia, vi è più di qualcuno che ritiene di arrogarsi competenze che non ha e di “educare” autonomamente il proprio animale, magari solo più vivace di altri, forzandone le inclinazioni e utilizzando il collare antiabbaio che, tramite un comando a distanza, viene azionato dal proprietario trasmettendo delle scosse elettriche.

Il discutibile principio su cui i fautori dell’uso del collare elettrico farebbero leva, è che, in questo modo, il cane apprenderebbe i comportamenti corretti e quelli da non ripetere mediante una punizione.

A chi legge non sfuggirà tuttavia che la punizione  inflitta all’animale comporta che a ogni azione o comportamento inadeguato o anche solo scorretto, allo stesso vengono inflitte  delle scosse .

Sempre secondo i sostenitori del collare elettrico, il suo utilizzo farebbe sì che l’animale cessi di porre in essere comportamenti “scorretti”, posto che, a ogni comportamento errato o ritenuto tale, seguirà una scossa, che ingenererà sofferenza.

L’animale quindi, associando il comportamento al dolore cesserà di attuarlo.

Proviamo a immaginare di riproporre lo stesso strumento per utilizzarlo su degli esseri umani, magari su dei bambini  indisciplinati che necessitino di essere educati o rieducati al fine di mantenere un comportamento consono per la società.

Non vi è chi non inorridirebbe, e a ragione, davanti a un siffatto genere di metodo educativo.

La medesima azione riprodotta però sul corpo di un cane o di altro animale non induce sempre il medesimo sgomento.

Eppure il metodo educativo di cui parliamo è il medesimo: a fronte di un ripetuto comportamento “errato”,  viene inflitta una scossa elettrica, sino a che il soggetto desisterà dal porre in essere l’azione cui segue la punizione.


Si tratta ne’ più ne’ meno di quella che è corretto ed equo definire come “differenza di genere” laddove un comportamento viene sottoposto a valutazioni e giudizi diversi a seconda di chi ne sia il soggetto interessato. In pochi si scandalizzerebbero per l’utilizzo di scosse
elettriche a fini educativi nei confronti di un cane; tutti si scandalizzerebbero se tale metodo educativo venisse utilizzato su un essere umano, sebbene lo strumento e il dolore provati siano gli stessi.

Non è tuttavia un caso che, a fronte della sempre continua sensibilizzazione dell’opinione pubblica, anche nei Tribunali la tematica del maltrattamento degli animali si sia fatta sempre più pregnante sino a giungere alle importanti e significative pronunce di condanna di cui
abbiamo sentito parlare.


E’ del gennaio 2018 la sentenza n 3290 con cui la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un proprietario di due setter per maltrattamento di animali in ragione dell’utilizzo sconsiderato del
collare antiabbaio.

Alle giustificazioni addotte dal proprietario, a dire del quale gli animali erano stati rinvenuti dai vigili urbani in perfetto stato di salute e senza lesioni, la Corte ha risposto in modo esemplare sentenziando che l’utilizzo del collare elettrico sugli
animali (capaci di emanare scosse, si legge nella sentenza, pari a 1.440 Hz) cagiona agli stessi dolore e sofferenza e integra il reato di maltrattamento 

in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere
sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale


E’ ancora presto per poter dire se le pronunce giurisprudenziali citate e quelle future possano e potranno in qualche modo incentivare lo sviluppo di una maggiore sensibilizzazione nei confronti degli animali, laddove il dolore dagli stesso provato, fisico o psichico che sia, non ha minore dignità o intensità di quello provato dagli essere umani.

Se tuttavia la sensibilità è un’emozione che difficilmente si può insegnare o costringere a provare, forse il nostro Legislatore potrebbe pensare a un inasprimento delle sanzioni per chi commette atti di maltrattamento  nei confronti di altri esseri viventi, forse non ancora sufficientemente deterrenti per scongiurare il perpetrarsi di tanta crudeltà nei confronti di esseri che si affidano e si fidano completamente di noi umani.

Avv. Sara Schito

esperta in Diritto Civile e degli Animali

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