Educazione cinofila e relazione con il cane

Regressione Sociale Guidata: tecnica di intervento o stile di vita?

di Graziano Gentileschi

Con Regressione Sociale Guidata (RSG) si intende un insieme di regole volte alla gestione delle risorse primarie e secondarie del cane da parte della famiglia in cui esso vive.

Nel tempo, in base a diverse scuole di pensiero, la RSG è stata trattata come tecnica di intervento volta a risolvere problemi insorti tra cane e proprietari, metodo per spiegare al cucciolo le gerarchie famigliari, stile di gestione da mantenere per tutta la vita del cane, fino a essere considerata inutile, se non si reputa reale l’esistenza di gerarchie nell’universo della specie in questione.

Escludendo le opinioni soggettive su ciò che comporta imporre regole al cane e basandosi sulla sua discendenza dal lupo, contemplando come reale la persistenza dei caratteri gerarchici e la loro generalizzazione alla specie umana riconosciuta con il  ruolo di leader, proviamo ad analizzare i campi di applicazione della RSG, i vantaggi e i rischi in particolari situazioni relazionali.

Riassumiamo prima di tutto le regole stabilite da questa tecnica:

  1. non lasciare salire il cane su divano e letto (o più in generale, gestire gli spazi del cane);
  2. far mangiare il cane dopo di noi;
  3. passare dalle porte prima del cane;
  4. non dare cibo dal tavolo;
  5. gestire inizio e fine dei momenti di gioco e coccole, senza rispondere alle richieste del cane.

Questo mezzo decalogo è volto a stabilire in maniera non violenta una gerarchia in cui il cane è l’ultimo elemento della famiglia, attraverso un linguaggio ben comprensibile per entrambe le specie coinvolte.

Essere “ultimo” in questo caso non deve assumere una connotazione negativa: il cane, avendo in sé l’idea di struttura gerarchica all’interno di un gruppo, va a posizionarsi naturalmente al grado che gli viene riservato, oppure che trova scoperto.

Se la famiglia in cui vive non è capace di ricoprire un ruolo decisionale, trattando il cane come l’elemento fondamentale del nucleo, sarà proprio lui a sentirsi investito del ruolo più alto. Questo ruolo però, oltre che impraticabile, viene mal tollerato, poiché nella sua mente gli verrebbe addossata la responsabilità dell’intera famiglia. Non potendo effettivamente gestire un nucleo umano come una sorta di branco, secondo regole e logiche del cane, quest’ultimo vivrebbe in una sensazione di perenne ansia, fallimento e impotenza. Al contrario, trovando nei componenti umani della famiglia delle figure di riferimento che si fanno carico di scelte e decisioni, sarà sgravato delle proprie responsabilità, permettendogli di assumere un ruolo secondario.

Con una premessa di questo tipo potrebbe sembrare che la decisione di mantenere uno stile di vita strettamente legato a questa metodologia sia vincente senza limiti di tempo, e in alcuni casi può essere così. Tuttavia la moderna gestione della relazione con il cane potrebbe patire alcune carenze.

Vediamo come primo esempio il campo applicativo dei recuperi comportamentali, dove una gestione gerarchica più rigida ha un evidente successo. Ci sono due situazioni problematiche in cui è utile che il cane capisca, senza possibili sconti, di essere l’ultimo del gruppo, in particolare:

  • aggressività verso persone (interspecifica) da dominanza;
  • possessività troppo elevata;

In questi casi si rende necessario ristabilire le gerarchie al fine di garantire una convivenza altrimenti potenzialmente pericolosa.

mentre nel terzo si mette il cane nella condizione di capire, tramite un po’ di distacco e l’imposizione delle regole sopra citate, che non è il fulcro della famiglia, interrompendo in molti casi la vita simbiotica cane-proprietario e evitando una dipendenza patologica dall’umano.

La RSG può servire allo stesso modo nella gestione di altre problematiche comportamentali, per esempio:

  • aggressività da insicurezza o paura;
  • fobie;
  • ansia da separazione.

Nei primi due casi le regole valgono per dare una regolarità al cane, una routine che crea sicurezza e schematicità. Tuttavia, al contrario di un cane che dormendo sul divano, se proviamo a sederci accanto a lui ci ringhia rivendicandone il possesso, con un cane che normalmente non si avvicinerebbe per paura, imporgli di scendere se provasse a sedersi accanto a noi, sarebbe controproducente e deleterio. Se lo stesso cane venisse a chiederci cibo mentre siamo a tavola, magari in quattro o cinque persone, avvicinandosi e mostrando così un momentaneo superamento della sua difficoltà, il comportamento più indicato che potremmo avere sarebbe proprio quello di assecondarlo, gratificando il fatto di aver affrontato una situazione stressante per raggiungere un obiettivo.

Nella terza situazione invece si mette il cane nella condizione di capire, tramite un po’ di distacco e l’imposizione delle regole sopra citate, che non è il fulcro della famiglia, interrompendo in molti casi la vita simbiotica cane-proprietario e evitando una dipendenza patologica dall’umano. Si va a insegnare così un graduale distacco e il cane si abituerà, in parallelo, a “farsi una vita”, trovando momenti in cui la propria attenzione e l’interesse non saranno volti al proprietario.

Passando invece alla gestione di un cane senza una conclamata patologia comportamentale, pensiamo a ciò che può portare il fatto di prolungare eccessivamente una gestione di questo tipo, sia esso cucciolo o adulto, e cosa comporterebbe invece il non seguire rigorosamente un diktat.

Una fase iniziale in cui il cane è appena arrivato in famiglia necessita dell’imposizione di regole, in modo che esse siano chiare da subito. Parallelamente si svilupperà tuttavia una relazione tra cane e componenti della famiglia. Questa relazione, se basata sulla consapevolezza del cane di rimanere comunque l’ultimo elemento a livello gerarchico, potrebbe essere proprio rafforzata dall’infrangere tutte o alcune di queste regole, mantenendo però la certezza che la gestione da noi imposta ci garantirebbe in qualunque momento e in  qualunque situazione di ristabilire istantaneamente le “condizioni contrattuali” di partenza.

Una negazione prolungata, il non assecondare per esempio le richieste di gioco in maniera troppo rigida, potrebbe portare soggetti con una corretta relazione e gestione a non proporre più niente al proprietario. Al contrario rispondere a certe richieste del cane, come la richiesta di gioco in momenti idonei, rafforzerebbe il legame confermando all’animale che una sua iniziativa ha apportato beneficio al gruppo.

Concedere più o meno al proprio cane, quanto e quando farlo, è comunque una scelta soggettiva che per essere vincente deve forzatamente prendere in considerazione un’analisi obiettiva della relazione instauratasi, del carattere del cane, del nostro carattere e della situazione famigliare in cui tale relazione è calata.

In conclusione, è fuori discussione che siano esclusivamente le regole della RGS a garantire la buona gestione del cane e la creazione di un rapporto significativo nel binomio o nella famiglia, sia per una povertà di contenuti propositivi nella sola imposizione delle regole, sia perché se basassimo tutta la gestione del cane esclusivamente su di esse, il giorno in cui una dovesse venire meno, in presenza di un cane con un forte carattere e una buona intelligenza, non potremmo che rassegnarci al fatto di aver perso il vantaggio su di lui.

Dal punto di vista della presentazione della “nuova vita” a un cucciolo o a un cane adulto appena arrivato in casa, al contrario, forniscono un’ottima base di partenza per impostare un sistema di convivenza e rispetto delle usanze umane, oltremodo necessarie per vivere in un mondo gestito non da cani ma da “sapiens sapiens”.

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In modo ancora più eclatante, la RSG trova un’altissima utilità e un riscontro positivo nel suo utilizzo a fine terapeutico per il trattamento comportamentale di patologie, talvolta senza concedere niente di più a soggetti particolarmente difficili, in altri casi garantendo una routine di sicurezza per poi permettere di infrangere le regole e rafforzare la relazione.

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