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Muso a muso con l’Akita!

Akita: Orgoglio da samurai

Eh sì, cadere nell’equivoco è facile: tu provi a insegnargli qualcosa, anche di molto semplice, che so un banale “seduto”… e lui ti ignora, guarda oltre, sembra sordo. Allora provi a fare lo scemo per suscitare la sua curiosità, emetti suoni strani, fai movimenti di invito al gioco, che funziona sempre. E lui che fa? Ti guarda esattamente come lo scemo che sembri ai suoi occhi in quel momento, convincendosi ancor di più di avere fatto benissimo a ignorarti. Dopodiché non ti considera definitivamente più. Sconsolato, ne trai la logica quanto fallace deduzione: “Ma allora è vero, sti maledetti Akita so’ de coccio!”.

E invece no, non sono di coccio. Sono giapponesi.

Tu, invece, sei italiano, tu gesticoli, tu parli tantissimo, tu fai richieste tutto il tempo e, magari, allunghi pure le mani per toccarlo… Tutto da rifare, perché lui è il “Cane dei Samurai”, con le maiuscole, e tu solo un altro educatore cinofilo, in minuscolo, un bipede qualsiasi senza gloria né onore nel tuo casato.

Perché ti dovrebbe degnare di attenzione? Ma da dove viene tutto questo orgoglio dell’Akita? Da molto, molto lontano…

Cacciatori della Preistoria

Siamo nel nord del Giappone, non lontano dalla grande isola di Hokkaido. Mancano ancora migliaia di anni alla nascita di Cristo. Qui è tutto ricoperto da foreste, fa freddo e nevica molto spesso, come in questo momento.

Nel silenzio ovattato dal manto bianco, qualcosa si si muove con cautela. Attendiamo. Poco dopo, ecco apparire degli uomini ricoperti di pesanti pellicce e armati di archi, frecce e lance con punte di selce affilatissime. Li precedono alcuni cani piuttosto grandi, dal pelo fittissimo, simili a lupi. Sono loro a guidare il gruppo. Si tratta di cacciatori provenienti da un villaggio lontano diverse ore di cammino e sono sulle tracce di ciò che potrebbe fornirgli cibo per diversi giorni e nuove pellicce per proteggersi dal freddo intenso.

Forse si tratta di un branco di cinghiali oppure di un orso, l’animale più grande e possente di questa terra. Scovare questi pericolosi avversari è il primo compito di questi cani, dotati di un olfatto eccellente e di grande determinazione. Braccarli e bloccarli perché i cacciatori possano ucciderli è l’atto conclusivo, e pericolosissimo, che li attende. Ma non hanno paura, perché l’antico coraggio del lupo scorre forte nelle loro vene. Abbiamo incontrato gli antenati dell’Akita.

Al fianco dei samurai

Dunque, l’Akita viene dal più lontano passato del Giappone e ha accompagnato la storia della sua gente per millenni, tra alterne fortune. Il suo periodo di massimo splendore coincide proprio con l’epoca più mitica di questo popolo. Nel 1600 circa infatti, i signori feudali, gli shogun, si innamorarono di questi cani e li elevarono al rango di samurai, emanando leggi severe a protezione della razza e punendo anche con la morte chi venisse colto a maltrattare gli Akita, che ormai avevano assunto una morfologia piuttosto definita.

Per lunghi anni, questi cani vissero e cacciarono al fianco della casta guerriera padrona del Giappone, amati e onorati. Poi, il destino cambiò: una terribile carestia a fine Settecento causò la morte per fame di migliaia di persone e la gente iniziò a rubarsi il cibo a vicenda per sopravvivere. Così, gli Akita divennero anche cani da guardia e non più solo da caccia, ma molti di essi finirono anche nelle ciotole degli affamati. Un’epidemia di rabbia, inoltre, fece strage tra i non molti soggetti rimasti.

La razza era a rischio di estinzione. A partire dall’Ottocento, inoltre, molti Akita vennero incrociati con cani da combattimento, perché questo orrendo “passatempo”, importato dai primi occidentali là giunti in quell’epoca, prese presto piede in Giappone, il che impoverì ulteriormente la razza che si riprese solo quando i combattimenti finirono fuorilegge, nel 1919. Da allora, per fortuna, gli Akita vennero recuperati per quanto possibile nella morfologia originaria e, superate a stento anche due guerre mondiali, sono giunti fino a noi. Ma il loro passato, in parte, li ha seguiti.

Hachiko, la lealtà e il “padrone”

In questi giorni cade il centenario della nascita dell’Akita più famoso di tutti i tempi, Hachiko. La sua storia è nota a tutti i cinofili e non solo. E secondo gli estimatori della razza, la lealtà è dote che questo cane esprime spesso ai massimi livelli. Ma solo verso coloro che stima. E la stima di un Akita non si guadagna facilmente. La storia che abbiamo narrato, pur sintetizzata parecchio, ci dice perché: un cacciatore coraggioso di grandi animali pericolosi, divenuto poi guardiano e anche combattente, è per forza di cose dotato di un carattere molto risoluto e di forte autonomia decisionale.

Che poi sono le caratteristiche tipiche dei cani molto vicini al lupo, predatore “maturo” che non dipende dall’uomo ma si guadagna la sopravvivenza con i suoi notevolissimi mezzi. E l’Akita gli somiglia molto. Non ha un “padrone”, non ne ha bisogno. Quel che gli serve è un partner che si dimostri all’altezza e che gli infonda quel rispetto che si porta a chi suscita ammirazione. Dunque, un essere umano molto intelligente, sensibile, con una buona preparazione cinofila, che conosca l’indole fiera del suo Akita e sappia trovare il modo di capirla e accettarla, assecondandola quando possibile e ponendo un freno ove necessario. Una figura non comunissima, in realtà. Ma neppure l’Akita, cane millenario e compagno dei samurai, è un cane qualsiasi…

Una scelta da meditare bene

Tuttavia, anche se non è un cane adatto a chiunque, sono ormai parecchi gli Akita che possiamo incontrare nelle nostre strade e negli spazi verdi. Va di moda… Ma è raro vederne uno senza guinzaglio. Alla domanda sul perché non vengano liberati, i proprietari in genere rispondono in due modi: “Se lo sgancio, poi chi lo riprende?”, oppure “Non va d’accordo con gli altri cani”.

Ciò rivela che, purtroppo, la scelta della razza non è stata fatta a ragion veduta. In caso contrario, il cucciolo sarebbe stato preso da un allevatore che lavora per favorire il carattere adatto al mondo moderno e portato prima possibile in un centro cinofilo di buon livello per un serio corso di educazione, che fornisse al proprietario gli strumenti etologicamente ed eticamente corretti per farsi ascoltare e rispettare. In questo modo, il piccolo Akita avrebbe anche avuto occasione interagire correttamente con gli altri cani, di ogni genere ed età. Il tutto durante la fase della sua vita ideale per formarne il carattere in modo corretto. È questa la chiave giusta per avere accanto un Akita gestibile e relativamente ubbidiente. “Relativamente”, però: come spiegato, si tratta comunque di un cane dotato di notevole spirito di iniziativa che gli appartiene per storia e selezione. E va capito, se vogliamo vivere bene con lui.

Attività da Akita

Le limitazioni sul fronte dell’obbedienza tipiche dei cani indipendenti sconsigliano di dedicarsi a specialità tecnicamente molto esigenti, come l’Obedience. Ma un ex cacciatore come questo, invece, potrebbe trovare grande soddisfazione nel lavoro olfattivo, piste e ricerche, e in questo modo anche il partner umano avrebbe buone chance di entrare a far parte del mondo interiore ed emotivo del suo Akita, condividendo un’attività eminentemente canina. Il fisico per l’Agility ci sarebbe anche, nei soggetti più leggeri, ma l’interesse per una cosa tanto “umana” è raro che spunti. Forse si potrebbe tentare con il Disc dog, il distance in particolare, perché il predatorio è bello tosto. É

il riporto che potrebbe rivelarsi ostico, ma perché non tentare?

La sua salute

La “cartella clinica” della razza ce la sintetizza Monica Perego, medico veterinario: «Come tante altre razze, anche l’Akita può avere problemi di displasia dell’anca, quindi bisogna rivolgersi ad allevatori che selezionino per evitarla.

E lo stesso vale per i problemi agli occhi, che hanno trasmissione ereditaria ma possono essere prevenuti grazie ai test specifici cui sottoporre i riproduttori. Altri pericoli possono derivare da malattie autoimmuni come la sindrome di Harada, che colpisce pelle e occhi, e un’altra che attacca le ghiandole sebacee.

Andrea Comini

Educatore e istruttore cinofilo fisc da oltre vent'anni, consulente sui problemi comportamentali, si è formato con Carlo Marzoli, Inki Sjosten, David Appleby, Roger Abrantes, Joel Dehasse. Studioso di etologia del cane e del lupo, docente in diversi corsi di formazione per educatori. Giornalista professionista.

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