Cani da cacciaEducazione cinofila e relazione con il cane

I segugi e la loro galassia: tra etimologia e storia

I segugi e la loro galassia

‘Ma i tuoi, che segugi sono?

Ce ne sono mille tipi…’mi domanda un giorno un’amica, che deve incasellare in qualche modo il mantello dorato di Isotta-la-bionda da una parte e la livrea candida con le vivaci macchie arancio di Ugo dall’altra.

È vero, i segugi sono una galassia: poche razze conoscono tante diramazioni da una radice comune –

e proprio della radice comune val la pena di cominciare a occuparsi.

Intanto, un nome.

Sono segugi. Ovvero?

La prima etimologia sembra derivare dalla radice saus/ seusius, e rifarsi ad una popolazione gallica, i Segusii, che abitando in zona Loira selezionarono per primi l’uso di questo cane : non a caso la prima citazione che raffigura il segugio in inseguimento su lepre che la letteratura latina conosca, il I libro delle Metamorfosi ovidiane, lo chiama proprio così:

“come in aperta campagna un cane di Gallia avvista una lepre, e quello corre bramando la preda, questa la salvezza: l’uno spera, simile a un conquistatore, di averne ormai il possesso, e si getta sull’orme a muso teso: l’altra è nell’ansia di essere raggiunta, si sottrae ai morsi e si stacca dalla bocca che la preme”. 

Un cane di Gallia, dunque: un cane sagax, ovvero intelligente, in grado di decifrare i segnali olfattivi della preda a varie ore di distanza.

Un cane che sa usare ogni sfumatura del verbo sequor, un inseguitore. Addirittura un cane in grado di scagnare, di ‘sibilare’, se vogliamo accettare una radice trasversale, sausen, appunto il verso che il cane in seguita emette stridendo ( Petronio dice che le streghe latine, appunto, ‘stridono’ come i segugi: e non a caso gli estimatori delle razze italiane distinguono il tono cristallino, tagliente, argentino del segugio italiano da quello più cavernoso ed echeggiante delle razze inglesi o francesi, Beagle o Ariegeois, per esempio – loro, evidentemente, non stridono!) 

Un cane che insegue. I segugi

Fin qui tutto chiaro. Un cane che leva: un ‘leverere’, scrive Domenico Boccamazza, capocaccia di Leone X e grande esperto della caccia medicea. Nel suo trattato di caccia, ci regala suggerimenti attualissimi.

Come sviluppare una buona relazione col proprio ausiliare?

Il proprietario deve “di continuo quando mangia farlo venire alla sua tavola, e sempre darli un bocconcino da mangiare, l’ha da sciogliere spesso, non l’ha mai da legare, non l’ha mai a battere”.

Quando lo scioglie, deve sempre dargli “un poco di formaggio”, e deve cercare più che può “di farli amazzare il selvatico, o vero che si truovi alla morte delle fiere”, e così “il leverere li sarà amico”.

E al ritorno della caccia, dovrà asciugarlo al fuoco con panni caldi, e lavargli le zampe con acqua e sale, per evitare terra o sassolini fra le dita: rovinoso rischio.

E cacciando, i segugi, in muta, dovranno obbedire ai segnali del corno del signore.

E alla voce.

Se la muta è in stallo, l’incitamento sembra un canto:

“Hau, fugge là, cani, fugge là, fugge là, fugge là, andrà là, cani, andrà là, andrà là…” Per incoraggiarli ancora, il proprietario continuerà: “Hau, ov’è andata la lepre, va ella là, dimanda, dimanda” – il corrispettivo del ‘cerca, cerca’ di oggi. E al segnale sonoro dello scovatore, il cacciatore poteva far decollare tutta la muta: “va qui fuggendo, vero, vero, va qui fuggendo, qui, qui…”

Un coro.

Una polifonia.

Questo sa fare il segugio: scovare, inseguire e dare voce.

E creare un tenero rapporto col proprio conduttore.

Questa, che sibili o insegua, è la radice da cui l’albero delle razze si è sviluppato.

Ad onta di macchie, code sottili o mozze, e orecchie, un segugio, davvero, è quasi tutto qui.  

Susanna Pietrosanti

Susanna Pietrosanti , dottore di ricerca in storia della caccia in Toscana, é autrice di vari saggi sulla caccia in Italia e in Europa. Ha collaborato con la rivista ufficiale della SIPS, Società Italiana Pro Segugio. Ama i segugi e divide il bosco e la vita con loro da sempre.

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