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La stampa italiana ha un problema con i cani (e gli inglesi fanno gli ipocriti)

Pitbull uguale American Bully? Sì, secondo il quotidiano romano Il Messaggero, visto il titolo di un pezzo che ha pubblicato ieri

Peraltro, pochi giorni fa anche Repubblica ha fatto qualcosa del genere, pubblicando la foto di un American Bully accanto al titolo sulla tragica morte della signora aggredita da un Pitbull a Pavia (riproponiamo anche questa immagine).

Tempo fa, poi, diversi quotidiani avevano pubblicato un video con un bravissimo Malinois che spostava sapientemente gli pneumatici dentro l’officina del suo umano, un gommista, ma nella descrizione purtroppo quel cane era diventato un “Pastore Tedesco”.

Potrei andare avanti a lungo con esempi di questo genere ma credo basti per capire che in Italia la stampa e i media in genere hanno un problema con i cani: non li conoscono e non fanno un accidente per migliorare, con il risultato di fare pessima informazione, fuorviante quando va bene, dannosa in altri casi. Ricordo, per esempio, un pezzo sul Corriere in cui l’autore auspicava la scomparsa dalla faccia della Terra di tutti i Lupi Cecoslovacchi dopo il noto episodio mortale del 2020 a Grugliasco, nel Torinese, dipingendoli come “pericoli pubblici”.

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Sulla base di cosa? Della sua personale esperienza fallimentare con un (sì, uno solo…) CLC del quale si era ben presto liberato perché non riusciva a gestirlo.

Questo pressapochismo, questa assenza di professionalità che emerge molto spesso quando i media italiani si occupano di cani non è un dettaglio secondario, a mio avviso: dato l’enorme valore emotivo che i cani hanno ormai raggiunto per una grande maggioranza della popolazione italiana, sarebbe ora che i media si dotassero almeno di un esperto settoriale di riferimento per verificare la correttezza di testi e immagini, prima di fare figuracce che sminuiscono l’attendibilità di una professione, quella del giornalista, che di certo non ne ha bisogno, considerando i livelli a cui già sovente scade, purtroppo, nel nostro Paese.

Ma la vicenda degli American Bully XL vietati in Inghilterra e in Galles offre anche l’opportunità di riflettere su come il nazionalismo influenzi spesso le decisioni delle autorità inglesi sull’argomento “cani pericolosi”.

E sì, perché sono proprio gli inglesi ad aver dato vita, in passato, ai terrier di tipo bull da combattimento, che sono i progenitori dei Pitbull, degli Amstaff e anche degli American Bully.

Per inquadrare la questione, bisogna sapere che tra i cani responsabili di attacchi gravi o mortali in Gran Bretagna ci sono abbastanza spesso anche gli Staffordshire Bull Terrier e i Bull Terrier, e relativi incroci. Ma trattandosi di razze inglesi… nessun divieto. 

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Andrea Comini

Educatore e istruttore cinofilo fisc da oltre vent'anni, consulente sui problemi comportamentali, si è formato con Carlo Marzoli, Inki Sjosten, David Appleby, Roger Abrantes, Joel Dehasse. Studioso di etologia del cane e del lupo, docente in diversi corsi di formazione per educatori. Giornalista professionista.

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