Cani da caccia

Segugio e ungulati nella storia

Le tradizioni storiche dicono di sì: gli ungulati (cervo, camoscio, capriolo) si cacciano coi segugi.

Parliamo del Segugio e ungulati nella storia, con un nuovo articolo di Susanna Pietrosanti

Per tutto l’Ancien Régime la caccia al cervo si fa in muta: segugi “travagliati e leggieri”, scrive Domenico Boccamazza, capocaccia di Leone X, raffinatamente addestrati a seguire i messaggi che la loro guida, il bracchiere, fornisce usando il suono del corno e la voce.

“Quando la muta bracca il cervo, e i cacciatori la seguono, il bracchiere usando il corno deve suonare tre volte così: Tran, tran, tran. Quando i cani saranno ammutiti, egli deve parlare loro così: El va là cani, el va là, hà hà, el va là ah ah ah.

Oppure altra maniera di parlare ai cani con la voce quando cacciano e sono ammutiti: Hau, el fugge là cani, el fugge là… Là anderà cani, oltre anderà, hà, hà, hà”.  

Segugio e ungulati nella storia
Le tradizioni storiche dicono di sì: gli ungulati (cervo, camoscio, capriolo) si cacciano coi segugi.

Una comunicazione cifrata, a doppio senso, tra cani e conduttore e tra conduttore e cani: l’hà hà hà del bracchiere imita lo scagno della muta, il bracchiere è un segugio tra gli altri: quando capisce che uno dei componenti del gruppo è sulla buona traccia può far decollare tutti gli altri su di lui con un segnale bellissimo:

“va qui fuggendo, dice il vero, va qui fuggendo, hà hà, hà”, oppure può far frenare vertiginosamente tutto il gruppo con un solo segnale di corno: “tauh cani, tauh auh, alto alto, tè tè, ah, ah, ah, ah”.

Con la collaborazione della muta e del bracchiere, il cervo viene scovato, inseguito, abbattuto: e di nuovo uomini e cani partecipano alla festa crudele del rito dell’abbattimento, la curea: i cani autorizzati a cibarsi delle interiora dell’animale avvolte nella pelle, i cacciatori consumando i pezzi migliori sulla brace.

In epoca antica così si caccia il cervo: e così lo si caccia, secondo Emilio Lussu, nella Sardegna dell’Ottocento, in una battuta completamente silenziosa e rituale dalla quale si viene esclusi se si pronuncia una parola, e l’unica voce è il canto dei segugi: e così lo si caccia nelle Alpi di Mario Rigoni Stern, dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando il capriolo alla posta cade sotto la seguita bruciante di Alba e Franco, “i cani più bravi dell’universo mondo”.

Salda tradizione di caccia agli ungulati con la muta – ma oggi non è più così.

Eccezion fatta per le Valli del Natisone, il capriolo e gli altri ungulati in Italia si cacciano con la caccia di selezione.

Cacciatore da solo e in silenzio, sull’altana, a colpire solo il capo, o i capi, che è autorizzato ad abbattere.

In realtà, la differenza è antropologica, culturale.

La caccia all’aspetto è derivata dalla tradizione teutonica: una caccia calma, razionale, progettata ed eseguita in completa padronanza.

Gli adepti di questa forma hanno accusato gli adepti dell’altra di passionalità e confusione, di tentazione alla strage: come si può distinguere l’animale da abbattere nella corsa vertiginosa del gruppo verso il fucile?

Segugio e ungulati nella storia
Le tradizioni storiche dicono di sì: gli ungulati (cervo, camoscio, capriolo) si cacciano coi segugi.

La polemica negli anni 50 non trovò soluzione.

I camosciari della Val Germanasca, studiati da Sergio della Bernardina, sostenevano l’opposto: che la caccia col segugio era l’unica leale, perché metteva in guardia l’animale, lo avvisava lealmente, gli permetteva di usare la sua unica arma difensiva, la velocità nella fuga: mentre il colpo col cannocchiale telescopico, inatteso, impercettibile, era un vero tradimento.

“Il segugio… c’hai una soddisfazione perché senti il  tuo cane lavorare. Senti abbaiare il cane, senti che viene su, che arriva , e te senti tutto, nella vallata, senti i tuoi cani battere…poi te conosci già i cani, perché il cane abbaia più grosso al camoscio che alla lepre.

Poi alla lepre senti mentre fa l’alzata: aiaiài, aiaiài….mentre al camoscio, va proseguendo il ritmo con tutto un altro tono, sai già quello che va dietro i cani, uno che conosce i cani”.       

Due tradizioni opposte, una teutonica (gelida, razionale, ordinata) una mediterranea (auditiva, passionale, scomposta, dotata di una sua logica segreta).

Così testimonia la storia della caccia, nella quale, come in molte altre discipline storiche, l’alternanza delle posizioni, e la possibilità di comparare, costituisce appunto il metodo di lavoro e l’essenza. 

Susanna Pietrosanti

Susanna Pietrosanti , dottore di ricerca in storia della caccia in Toscana, é autrice di vari saggi sulla caccia in Italia e in Europa. Ha collaborato con la rivista ufficiale della SIPS, Società Italiana Pro Segugio. Ama i segugi e divide il bosco e la vita con loro da sempre.

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